“Il suicidio adolescenziale rappresenta uno degli enigmi più dolorosi di cui la clinica si occupa[…] il suicidio degli anziani, nella sua terribile risonanza, riesce tuttavia a trovare delle ragioni nella presenza di malattie invalidanti, nella solitudine e nel venir meno delle forze vitali, la morte volontaria dei giovani ci interroga con più angoscia perché in quel periodo della vita non ci si aspetta che un soggetto desideri a tal punto la morte da rinunciare a ciò che la vita può consentire”[1].
E’ con queste parole che Antonio Piotti apre lo scenario di un problema che coinvolge adolescenti e giovani, tanto che le statistiche ci dicono che il suicidio è la seconda causa di morte, sotto i 20 anni, addirittura, negli Stati Uniti, è divenuta la prima causa di morte, nella prima adolescenza, andando a superare la mortalità degli incidenti stradali.
In questo libro a due mani, la storia di Amina diviene il pretesto per porre l’accento su un grave problema, quello che Phillips ha definito “effetto Werther”, indicando con questa espressione il fascino che il suicidio genera su altri soggetti che sono spinti ad emulare colui o colei che lo ha messo in atto.
Quello di Amina è stato un vero e proprio suicidio mancato[2], visto che l’epilogo non è stato nefasto, e la sua storia può essere vista come la storia di centinaia di adolescenti che si sentono non compresi, non accettati e che non riescono a comunicare il loro disagio. Ed è nel silenzio delle loro riflessioni che elaborano l’idea del suicidio come atto liberatorio dagli “affanni umani ed esistenziali”.
In questo libro emerge anche l’umanità di un terapeuta che apprende la notizia, oltre alla difficoltà di rimettere assieme i propri pezzi interiori, il proprio sgomento/dolore, per poter essere di aiuto per quell’adolescente, affinché possa spiccare quel volo, che non si era mai permessa di vivere.
Come sostiene Roberta Invernizzi “questi adolescenti ci hanno insegnato e sembrano insegnarci ogni giorno che, nel mentre in cui essi cercano volontariamente la morte, la loro intenzione non è propriamente quella di morire bensì quella di appropriarsi della morte per poter continuare a vivere”.[3]
[1] Piotti A., Invernizzi R., Riscrivere la speranza. Storia di un’adolescente che voleva morire e ha imparato a volare, Edizioni San Paolo, Milano 2017, p. 7
[2] Ibidem, p. 11
[3] Ibidem, p. 178