L’antico detto medievale “mors tua, vita mea, stava ad indicare che il fallimento di uno, diveniva la conditio sine qua non per la vittoria dell’altro, esprimendo un atteggiamento meramente opportunistico e, osservando la realtà sociale, mi è sembrato che questa locuzione fosse estremamente pertinente.

Se vogliamo fare un parallelismo con il mondo animale, potremo convenire che un predatore attacca una gazzella o chi per essa, perché questo è funzionale alla sua sopravvivenza, sia in termini di nutrimento o, anche, di pericolo, ma nella realtà attuale che cosa giustifica l’aggressione fisica o verbale dell’uno contro l’altro?

Nel corso degli anni, dei secoli, il messaggio che è passato è che per sopravvivere, per emergere, per raggiungere i nostri obiettivi, dobbiamo, comunque, sopraffare, prevaricare e distruggere l’altro.

Ma l’aspetto più grave è dato dalla legittimità che attribuiamo alle nostre azioni: è per il bene della tua salute…è per tutelarti… è nel rispetto dei principi religiosi, morali! 

Ma  siamo veramente convinti che sia così?

Perché sono quei presupposti che hanno fatto diventare norma e normale, ciò che normale non è.

Quando abbiamo incominciato a perdere il rispetto dell’altro, quando abbiamo incominciato a pretendere che ciò che non posso ottenere/fare io, non lo deve avere nemmeno l’altro?

Esopo ci dovrebbe aver insegnato che non ha senso svilire ciò che non si è in grado di fare o di ottenere, mentre una sana umiltà ci aiuterebbe a vivere meglio e a onorare l’altro, partendo dal riconoscimento dei nostri limiti, gioiendo dei successi/traguardi e scelte altrui, vivendoli come opportunità per crescere e confrontarci.

Ernst Cassirer ha definito l’uomo un essere sociale, un Animal Symbolicum, che si costruisce attraverso la relazione interpersonale e intrapersonale (è un suo bisogno, un suo modo per esprimere il suo essere), in un rapporto di interscambio continuo e, proprio per questo, “l’esigenza principale delle persone non è più la mera sopravvivenza e neppure il possesso materiale, ma la qualità della vita […] – avere buone relazioni con le persone con cui siamo in contatto, nella vita privata come in quella lavorativa”  e la situazione attuale non consente niente di tutto questo, generando destabilizzazione e angoscia.

Allora qual è l’antidoto?

Forse recuperare la capacità di cooperare, di collaborare, di ascoltare e ascoltarsi, di comunicare?

Qualunque sia la scelta, che può portarci ad andare anche controcorrente, l’importante è che sia il frutto del nostro libero arbitrio!