Mai come in questo momento dobbiamo far emergere il nostro coraggio di vivere e di affrontare le situazioni difficili della vita.

È in questo particolare contesto storico, il peggiore dal dopo guerra, come viene definito dalle cronache, che si rendono indispensabili le capacità di fronteggiare positivamente le difficoltà, mantenendo vivida la nostra umanità, passaggio fondamentale per dare un nuovo slancio alla nostra esistenza.

Antonovsky, con i suoi studi sui sopravvissuti all’Olocausto, aveva individuato il concetto di auto-coerenza, evidenziando le tre componenti che  possono promuovere la salute mentale e, quindi, divenire la garanzia per la sopravvivenza:

  • La capacità di poter esercitare o mantenere il controllo, anche se soltanto nella

fantasia o in misura ridotta nella realtà;

  • La capacità di comprendere quanto sta avvenendo;
  • La capacità di dare un significato a ciò che sta succedendo.

È proprio l’essere privi di significato che ci può far perdere il senso di quello che sta accadendo, facendo emergere tutte le nostre vulnerabilità.

Dare un significato ci consentirà di comprendere il perché e di sostenere il peso del mentre, del qui ed ora.

Qual è il significato di questa pandemia?

Abbiamo provato a chiedercelo?

Ci siamo soffermati a riflettere sul perché?

Tante le riflessioni e gli interrogativi, tutti validi e ognuno il contrario dell’altro.

Forse pensavamo di essere invincibili, a seguito delle continue scoperte, delle immani evoluzioni tecnologiche, forse eravamo entranti in un delirio di onnipotenza, consapevoli che niente e nessuno ci avrebbe potuto fermare, forse eravamo troppo sicuri di noi!

Ma adesso ci stiamo rendendo conto che non è così ma, nonostante tutto, la lezione che la vita ci sta “infliggendo” non è ancora abbastanza, non sembra che l’abbiamo compresa!

Sui social leggo ancora parole offensive, molti che cercano di difendere il “proprio orticello”, non pensando che quello potrebbe essere l’ultimo istante e che forse un domani e uno spazio da rivendicare e da difendere potrebbe non esserci, e che forse sarebbe preferibile far emergere la nostra capacità di essere solidali e disponibili, verso gli altri e verso noi stessi.

Ma allora mi chiedo, ma il vecchio detto latino, historia magistrae vitae, avevano ragione gli

illuministi quando affermavano che il passato non ci aveva insegnato niente?

In tutte le epoche storiche, nei momento di picco demografico, ci sono sempre stati periodi di cattivo raccolto, epidemie, pesti e malattie di varia natura e origine, che hanno decimato la popolazione ma, allora, come adesso, la pietas, la compassione albergavano nel cuore di pochi, mentre dominava l’interesse e il benessere personale.

E allora, possiamo incominciare a riflettere sull’affermazione “IO RESTO A CASA”, cercando di coglierne il significato metaforico?

Restare a casa, chiudersi allo spazio esterno vuol dire isolarsi dagli altri ma, anche, ritrovare uno spazio interiore che, raramente ci concediamo di esplorare.

Ma può voler dire anche entrare in contatto con le nostre vulnerabilità più profonde, con le nostre parti “rinnegate”, con i nostri lati ombra, guardarle/i e prendercene cura.

Ma questo forse è il compito più arduo da assolvere, perché nessuno ci ha insegnato a prenderci cura di noi stessi, ad ascoltarci, ad ascoltare le nostre paure, a farci carico della nostra tristezza e del nostro dolore.

Allora proviamo a riflettere su quanta energia abbiamo impiegato per reprimerle, nelle parti più nascoste della nostra vita interiore, e quanta invece ne abbiamo spesa per proiettare sugli altri, proprio quelle fragilità che non volevamo vedere in noi stessi

Un proverbio del Quėbec recita: “Compito dei genitori è donare due cose ai figli: le radici e le ali”.

Forse questa situazione di emergenza sta provocando in noi un maggiore scollamento?

Forse le nostre radici sono più sollevate da terra di quanto non lo fossero prima?

Però abbiamo le ali, che loro ci hanno donato, e con queste possiamo volare in alto e guardare il tutto da un’altra prospettiva.

Da quella che ci spinge a recuperare i veri valori della vita: la famiglia, l’amicizia, il rispetto, la lealtà, l’onestà e l’amore incondizionato.

Se così fosse

  • non continueremmo ad affannarci per accaparrare più di quello che ci è consentito,

perché quello che abbiamo è più che sufficiente,

  • non inveiremmo contro coloro da cui ci sentiamo minacciati, ma magari

proveremmo a chiederci che cosa stiamo proiettando su di loro e che ci appartiene,

  • smetteremmo di pensare che siamo più astuti e scaltri degli altri, perché stiamo

facendo quello che loro, ligi alle indicazioni diffuse, rispettano, per il bene comune,

  • Riscopriremmo il piacere delle piccole cose, di quelle attenzioni e azioni quotidiane

che, solitamente, ci precludiamo, perché presi da impegni improcrastinabili e

inderogabili.

Adesso viviamo in una dimensione spazio- tempo dove tutto è diverso, dove niente è più come prima, dove stiamo ridefinendo le nostre priorità e siamo alla ricerca di un nuovo equilibrio, che fatichiamo a trovare.

Ma ancora: abbiamo prestato attenzione alle migliaia di persone anziane che se ne stanno andando e come?

Senza il conforto, l’abbraccio dei loro cari, con la paura negli occhi e la tristezza nel cuore, con la consapevolezza di chi sa che sta combattendo una battaglia troppo grande, per poterne uscire vincitore e con il dolore di non poter donare e ricevere l’ultimo saluto,l’ultimo sguardo amorevole.

Con loro se ne vanno una parte delle nostre radici sociali, della nostra memoria storica, perché forse saranno anche state un peso per il nostro sistema sanitario ( che magari gioirà ), ma per ognuno di noi, che con loro aveva dei legami affettivi e viscerali, queste persone hanno rappresentato e rappresentano le nostre origini, l’”allora” da cui siamo partiti, da cui ha avuto inizio la nostra storia, il nostro cammino di vita.

Susanna Kobasa, psicologa presso l’ Università di Chicago, sostiene che coloro che riescono a fronteggiare meglio le contrarietà della vita, sono le persone che hanno come tratto connotativo l’impegno,  che evidenziano la capacità di controllare i propri stati e che hanno il gusto delle sfide.

Nel “qui ed ora”  siamo chiamati a fronteggiare e affrontare una grande sfida: RISCOPRIRE IL SENSO DI APPARTENENZA, che ci potrà  donare quelle capacità empatiche che ci consentiranno di stare meglio con noi stessi e con gli altri, per aprirci ad un domani, migliore di oggi e di ieri, per avviarci verso un futuro dove la riconoscenza e la riscoperta del senso della vita costituiranno il collante delle relazioni umane perché’, finalmente, avremo compreso che nel nostro avvenire cogliere lo sguardo dell’altro, incontrare e riconoscere l’altrui emozioni (oltre alle nostre e a saperle gestire),  avranno un valore che non potrà essere sostituito da nessun bene materiale.

Se vogliamo che quello che stiamo vivendo sia prodromico  per un futuro migliore ripartiamo dall’incontro interiore con l’altro, attraverso la conoscenza/riscoperta di noi stessi.