Oggi più che mai viviamo in un contesto sociale in cui siamo “avvolti” da una miriade di acronimi in cui, a volte, sembra di smarrire la “retta via”, per la difficoltà nel reperirne l’immediato significato, soprattutto per coloro che non appartengono al mondo scolastico, ma che necessitano di interagirci.

C’è chi afferma che siano 380 gli acronimi presenti, di uso più o meno frequente.

Si va dal semplice CdC, per indicare il Consiglio di Classe, al PEI, che indica il Piano Educativo Individualizzato, il più complesso PECUP, che indica il Profilo Educativo, Culturale e Professionale, con cui si elencano le competenze che l’alunno dovrebbe possedere alla fine di ogni ciclo scolastico e che dovrebbero costituire la base per la progettazione dell’attività didattica dei CdC, poi ancora POF, PON, LIM, INVALSI, ICF, GLI, BES, DSA…

Di quelli elencati vorrei porre l’accento sull’ultimo:

  • DSA= Disturbi Specifici di Apprendimento, riconosciuti con la L. 8/10/20110 n° 170 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” e dal DM 5669/2011;

Nella Consensus Conference è stata fatta chiarezza sul significato della lettera D nell’acronimo DSA, che viene associata a termini come disturbo, disabilità o differenza, ma semplicemente per descrivere la discrepanza che si viene a creare nei DSA fra l’età cronologica e le loro abilità deficitarie in alcune aree.

Va inoltre specificato che questi tre termini non sono in antitesi fra di loro, bensì fungono da stimolo per l’attualizzazione di interventi diversificati e specifici.

Critchley, nel 1968, è stato il primo ad introdurre il termine Disorder, con cui indicava il divario fra il quoziente intellettivo, ancora oggi utilizzato nella formulazione della diagnosi di DSA, e le abilità scolastiche.

Questo sta a significare che gli alunni con DSA evidenziano prestazioni ridotte nella letto-scrittura e nel calcolo, ma non per questo non sono intelligenti, anzi possiedono un intelligenza normale, se non addirittura al di sopra.

Nel 2003 G. Reid Lyon, Sally E. Shaywitz e Bennett A. Shaywitz, in merito alla definizione di dislessia, concordano sull’introduzione del concetto di Disability/Disabilità dell’apprendimento di origine neurobiologica.[1]

Ancora prima di riflettere su cosa si intende con il termine Disability è importante riflettere su che cosa è un’Abilità.

Questa può essere considerata come una serie di attività sequenziali, finalizzate al raggiungimento di uno scopo come, ad esempio, l’abilità del camminare, acquisita da un bambino entro il 1 anno di vita, che lo porta a correre, in modo istintivo, nel momento in cui c’è qualcosa che attira la sua attenzione; per lo stesso motivo leggere diviene una competenza automatica, che consente di decodificare il codice senza sforzo e in modo veloce.

Da ciò si evince che siamo in presenza di una Disabilità nel momento in cui l’azione che il bambino si accinge a compiere non avviene più in modo automatico, veloce e senza sforzo, e questo perché sono venute meno alcune condizioni quali:

  1. Prerequisiti di base
  2. Esposizione agli stimoli
  3. Allenamento

Dinanzi ad una diagnosi di DSA ciò che è venuto meno è il primo punto e, proprio per questo gli altri due non sono sufficiente e utili a far divenire automatica un’azione che per i compagni è normale, ma questo concetto è necessario che sia chiaro in chi si occupa del processo educativo, per non introiettare la percezione del fallimento e per non definire “vagabondo” colui che, pur esercitandosi, non riesce a perseguire i medesimi traguardi dei coetanei.

La D sta a significare anche Difficoltà/Difficulty, proprio per indicare tutti i momenti critici in cui quel bambino/adolescente non è riuscito ad espletare il compito assegnato, che possono generare, non solo un disagio psicologico ma, anche, la percezione di essere un incapace, di non impegnarsi abbastanza, tanto da condizionare le proprie scelte scolastiche, fino ad arrivare al droup out.

L’uscita dal percorso scolastico, costellato da insuccessi, incomprensioni, non riconoscimento degli sforzi fatti, senza aver acquisito un diploma, o la scelta di percorsi professionali, piuttosto che tecnici o liceali, può produrre, come naturale conseguenza, una bassa autostima, una bassa motivazione e un basso livello di autoefficacia, requisiti fondamentali per perseguire i propri obiettivi nella quotidianità e nel cammino della propria vita.

Infine D come Difference/Differenza, per indicare che le difficoltà di chi ha un Disturbo Specifico di Apprendimento sono commisurate alle richieste che gli vengono fatte nel contesto scolastico pertanto, se noi vivessimo in una società dove la trasmissività della cultura e l’acquisizione delle conoscenze avviene solo ed esclusivamente per via orale, verrebbero meno i momenti di criticità, come conseguenza delle non richieste di letto-scrittura.

In base a questo modello i DSA rientrerebbero nelle differenze individuali, tipiche della neurodiversità umana, secondo cui gli individui possono pensare o comportarsi, per certi aspetti, ognuno in modo differente dagli altri, respingendo quindi l’idea che queste differenze siano necessariamente disfunzionali e che debbano essere “corrette”.[2]

Credo che dovremmo imparare a cogliere le Difference non solo intendendole come mancanze, ma come potenzialità, portando l’attenzione alla capacità di memorizzare attraverso le immagini, piuttosto che le parole, dando valore e riconoscimento alla creatività e alla capacità di esprime idee e pensieri non convenzionali, oltre ad entusiasmarci dinanzi alla capacità di fare inferenze non comuni, che diviene espressione del loro pensiero critico senza esigere l’adattabilità a metodologie per loro difficili da apprendere e mettere in pratica.

Da ultimo posso aggiungere che la D la possiamo vedere come la lettera iniziale di

  • Dislessia, che sta ad indicare la caratteristica di non riuscire a leggere in modo fluido, veloce e corretto, comprendendo il significato del testo nella sua interezza;
  • Disortografia, che sta ad indicare quella caratteristica che si evidenzia con la difficoltà di scrivere in modo corretto;
  • Disgrafia, che fa riferimento alla caratteristica esecutiva della scrittura, che non si presenta in modo fluido e veloce;
  • Discalculia, che fa riferimento alla caratteristica del saper manipolare i numeri nei compiti assegnati e di eseguire i calcoli a mente, in modo celere.

 

 

 

[1] http://www.mitutone.com

[2] Stella G., Grandi L. (a cura di), Come leggere la dislessia e i DSA. Conoscere per intervenire, GiuntiEdu, Firenze 2016, p. 13