“Gli ostacoli non mi fermano. Ogni ostacolo si sottomette alla rigida determinazione. Chi guarda fisso verso le stelle non cambia idea”

(Leonardo Da Vinci)

L’esperienza personLA ale, professionale e la letteratura scientifica mi hanno portata  a considerare la Motivazione la “madre di tutti gli apprendimento”, ancora più imprescindibile se si è in presenza di un bambino BES/DSA pertanto, l’obiettivo centrale di un processo educativo e didattico dovrebbe essere l’incoraggiamento e lo sviluppo della stessa, attraverso l’incremento della percezione delle proprie competenze, perché ognuno di noi ha bisogno di sentirsi capace e di poter continuare ad esercitarsi ed  impegnarsi.

Questo sarà funzionale per l’emersione dell’Autostima e della Fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, nonostante la diversità, che condurrà a stili e tempi di apprendimento diversificati, ma non “sbagliati” e/o improduttivi, che non andranno a minare l’immagine di sé, ma ad implementare la self-efficacy rafforzando, anche, il rapporto di fiducia docente/studente, fondamentale per il processo di apprendimento.

Un altro punto fermo dovrebbe essere la consapevolezza che non tutti gli studenti si impegnano in egual misura in tutte le discipline scolastiche, pertanto una didattica motivante e stimolante può produrre, come effetto collaterale, la nascita di un interesse spontaneo, che può far emergere la voglia di imparare, di conoscere, di scoprire e di superare le difficoltà.

Vorrei ricordare una famosa frase di Don Milani che recitava così: “Agli svogliati diamogli uno scopo”, come a voler affermare la necessità di una scuola che sapesse sollecitare l’interesse e la curiosità degli alunni, per veder realizzato il sogno di un asino, che batte un cavallo, tanto per ritornare al famoso disegno di Bruegel, del 1557.

Parlando di Motivazione è funzionale partire dal presupposto che per favorirla è necessario che ci sia la consapevolezza, da parte del docente, che nel bambino DSA non è sufficiente dare più tempo per l’esecuzione di un compito, bensì bisogna avere ben presente che in lui la costruzione di abilità più complesse è resa possibile da condizioni interne, che costituiscono “i prerequisiti dei vari apprendimenti, cioè le capacità già possedute dal soggetto all’inizio di un compito,[ ma anche da]  condizioni esterne [che] riguardano le modalità di presentazione degli stimoli e di controllo della situazione di apprendimento”.[1]

Partendo proprio dalle condizioni esterne possiamo non dissentire sul fatto che attività, che possono essere garanzia di successo, anche per bambini DSA o BES, implementano quella spinta interiore, volta al soddisfacimento dei propri bisogni e desideri, anche in ambito cognitivo che, nel contempo, aumenta la dedizione e il coinvolgimento, diversamente ciò che potrà emergere sarà il disimpegno, il poco interesse e atteggiamenti “sbrigativi e frettolosi”.

Non di rado i bambini DSA/BES, nel qui ed ora, possono vivere situazioni di frustrazione e insuccesso, accompagnati da parole, come “pigro, svogliato, vagabondo, disattento”, che non favoriscono la loro Autostima, ma il senso di fallimento e la percezione di essere sbagliati.

Le delusioni vissute nel contesto scolastico, potranno avere una risonanza nel loro vissuto emotivo ma, anche, nella diminuzione della motivazione ad apprendere, favorendo comportamenti di evitamento dei compiti assegnati, espressi con affermazioni del tipo”Non sono capace, non lo faccio” o “Anche se mi impegno non mi riesce”.

Dinanzi a queste affermazioni è necessario che la scuola attui una presa in carico globale, che prenda in considerazione non solo l’autonomia nello studio ma, anche, gli aspetti metacognitivi e la creazione di una rete scuola/famiglia/ professionisti esterni, che possono mettere il bambino con Bisogni Educativi Speciali e Disturbi Specifici dell’Apprendimento nella condizione di sperimentare il successo scolastico e di ridurre l’emersione di problemi psicopatologici secondari, infatti ci sono degli studi che confermano che questi sono soggetti al rischio di sviluppare dei disturbi emotivi tre volte superiore a quello dei loro coetanei, che non presentano le stesse caratteristiche, fino ad arrivare al fenomeno della dispersione scolastica.

“La motivazione diminuisce […] se i tentativi del bambino di padroneggiare l’ambiente vengono frustrati o addirittura puniti, e/o se vengono invece rinforzati i comportamenti di dipendenza dagli adulti […] l’insegnante dovrebbe aiutare l’allievo ad avere fiducia in se stesso e negli adulti che per lui contano. A questo scopo è necessario, come ha proposto Covington (1985), agire nel clima della classe portando l’individuo a competere non con i compagni, ma con se stesso. Ciò implica per l’allievo una diversa considerazione del successo scolastico, che non dipende dall’”essere più bravo”, ma dal riuscire a raggiungere un livello di prestazione adeguato alle proprie possibilità e aspirazioni”.[2]

Sicuramente il ruolo dell’insegnante è fondamentale per favorire o meno l’emersione della motivazione, ma non solo, è anche quella relazione diadica che può consentire al bambino di sviluppare sentimenti positivi nei confronti della scuola e competenze sociali che, di riflesso, possono implementare e stimolare gli apprendimenti e il raggiungimento degli obiettivi preposti.

 

 

 

 

 

[1] Boscolo P., Psicologia dell’apprendimento scolastico. Aspetti cognitivi e motivazionali, De Agostini Scuola SpA, Novara 2006, p. 7

[2] Ibidem, pp. 136/137, 327