Ho scelto la famosa frase di Albert Einstein, per significare che se un bambino o un adolescente, con Bisogni Educativi Speciali o con Disturbi Specifici di Apprendimento, non lo poniamo nella condizione di poter conoscere, di poter fare e di poter essere, è come se gli chiedessimo di viaggiare sott’acqua, senza dotarlo di un respiratore con la bombola d’ossigeno, per cui lui introietterebbe la percezione di fallimento, di non saper vivere in quell’ambiente e di non apprendere gli insegnamenti, come tutti i suoi amici.
Da ciò si evince che l’obiettivo della comunità scolastica e dei professionisti che, ognuno con le proprie specificità, collaborano con essa deve, necessariamente, essere quello di creare un clima all’interno del quale ogni studente si senta incluso e non escluso, a prescindere da quelle che sono le sue abilità/competenze/prerequisiti iniziali (che devono essere ben chiari, per coloro che si accingono ad accompagnarlo nel suo processo evolutivo di apprendimento), in modo da porlo nella condizione di poter apprendere, pur con tempi e modalità diversificate
A tal fine è importante fare un breve excursus normativo, attraverso il quale sarà possibile porre l’accento sull’evoluzione legislativa che ci ha condotti all’hic et nunc.
Il 1975, per quanto riguarda il mondo scolastico, reputo che possa essere considerato l’anno del cambiamento e della svolta, in quanto la senatrice Franca Falcucci, che guidava la commissione parlamentare, che si occupava di problemi scolastici degli alunni handicappati, rese pubblica la relazione conclusiva in cui si affermava che “una struttura scolastica idonea ad affrontare il problema dei ragazzi handicappati […]non deve essere configurata in nessun modo come un nuovo tipo di scuola speciale o differenziale” […] bensì deve “rapportare l’azione educativa alle potenzialità individuali di ogni allievo”[…], deve essere una “struttura più appropriata per far superare la condizione di emarginazione in cui altrimenti sarebbero condannati i bambini handicappati” […] inoltre “il criterio di valutazione dell’esito scolastico” deve “fare riferimento al grado di maturazione raggiunto dall’alunno sia globalmente sia a livello degli apprendimenti realizzati, superando il concetto rigido del voto o della pagella”[1]
Le affermazioni contenute nella relazione furono alla base della successiva L. 517, del 4/8/1977, che portò all’abolizione delle classi differenziali, ponendosi come obiettivo la ricerca di altre forme di integrazione ma non solo, questa legge sancì che l’insegnante di sostegno era assegnato/a alla classe e che il/la docente curricolare era responsabile del percorso educativo di tutti gli studenti.
Nelle classi differenziali confluivano alunni diversamente abili o con disturbi dell’apprendimento o con problemi di socializzazione.[2]
La Legge170/2010 sui Disturbi Specifici di Apprendimento si è posta come obiettivo la tutela degli alunni con difficoltà di apprendimento e ha posto gli insegnanti, di ogni ordine di scuola, nella condizione di dover riflettere sulle strategie didattiche ed educative da adottare per rispondere, in un’ottica inclusiva, ai bisogni dei singoli studenti.
Questa Legge ha invertito la percezione di diversità, di disturbo e di immutabilità di una condizione, che era il retaggio di una cultura di un passato lontanissimo nel tempo, come veniva evidenziato nel celebre disegno a stampa di Bruegel, del 1557, dove viene raffigurata una classe del XVI° secolo e nella didascalia di afferma: “E’ inutile che l’asino vada a scuola, egli è un asino, non sarà mai un cavallo (Paristos stolidum si quis transmittat asellum – Si hic est asinus non erit illic equus)”.
Questa frase esprime il pensiero dell’epoca, che ha avuto delle propagazioni anche in epoche più recenti, ed era alla base dell’idea di immutabilità della condizione umana.
Oggi, fortunatamente, avere una diagnosi di DSA non vuol dire vivere una condizione di totale immutabilità o avere una disabilità[3], nel senso lato del termine, ma un disturbo/difficoltà dell’apprendimento, che richiede misure compensative e dispensative, che favoriscano il successo scolastico.[4]
Nelle linee guida della Consensus Conference[5] i DSA vengono definiti come “Disturbi che interessano specifici domini di abilità (lettura, ortografia, grafia e calcolo) in modo significativo, ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale”.[6]
Nel 2005 Dario Ianes, per la prima volta, introdusse in Italia l’acronimo BES, Bisogni Educativi Speciali, definendolo come una macro-categoria che racchiudeva tutte le possibili difficoltà educative e dell’apprendimento, specificando che con esso si faceva riferimento a “qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e apprenditivo, espressa in un funzionamento (nei vari ambiti della salute, secondo il modello ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizzata”.[7]
Ianes parte dal presupposto che il concetto di speciale normalità, assieme ai criteri di classificazione legati all’ICF, che sono alla base della macro-categoria dei BES, possono essere di aiuto ai docenti per avere una visione chiara delle diverse difficoltà degli alunni della classe, con l’intento di coglierne i reali bisogni.
Nella C.M. n° 8, del 6/3/2013[8] si afferma che ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può evidenziare dei Bisogni Educativi Speciali, sia per motivi fisici, biologici, fisiologici, psicologici o sociali, nei confronti dei quali è necessario che la scuola sia in grado di dare delle risposte adeguate.
Le difficoltà che rientrano nella categoria dei BES sono lo “svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”. [9]
Da quanto affermato si evince chiaramente che i DSA rientrano nella categoria dei BES e che per entrambi è riconosciuto il diritto ad un Piano Didattico Personalizzato (PDP), che deve contenere i percorsi individualizzati, le misure dispensative e compensative, che la scuola intende portare avanti, per facilitare l’apprendimento degli alunni interessati.
[1] Relazione della Commissione Falcucci, www.edscuola.it
[2] Nel 1900, a Torino, sorsero, presso la scuola Aurora, delle classi speciali per fanciulli deficienti, successivamente, furono create delle scuole dove venivano fatti confluire coloro che avevano una diagnosi di ritardo.
[3] “La disabilità è definita come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali, e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo”.M. Leonardi in A.A.V.V. (a cura di), ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, Erikson, Trento 2009, p. 48
[4] Nel contesto italiano esistono due percorsi normativi: uno tutela la disabilità, con la Legge 104/92, mentre la Legge 170/2010 tutela gli alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Oltre a questi due, a partire dalla Legge 517, del ‘77, fino alla Legge 53 del 2003, si prevede la personalizzazione del processo di insegnamento e di apprendimento, con l’obiettivo di garantire a tutti gli studenti, che sono in difficoltà, livelli di apprendimento pertinenti per età e per tipologia degli studi intrapresi, dal momento che la scuola deve farsi garante del diritto all’istruzione, valorizzando le differenze individuali e personali.
[5] La Consensus Conference, del 2007, indica delle linee guida utili per l’individuazione e la diagnosi precoce dei DSA ma, anche, le tipologie d’intervento, in modo da mettere in atto un processo trasformativo il più precoce possibile
[6] AID (a cura di), Disturbi Evolutivi Specifici di Apprendimento, Trento, Erikson 2009, p.37
[7] D. Ianes, Bisogni Educativi Speciali e inclusione. Valutare le reali necessità e attivare tutte le risorse, Erikson, Trento 2005, p. 29
[8] Questa era stata preceduta dalla Direttiva Ministeriale del 27/12/2012 “Strumenti d’intervento per alunni con BES e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica che, a sua volta, si richiamava ai principi della Legge 53/2003.
[9] http://www.pubblica.istruzione.it