Solitamente quando si parla di ascolto si fa riferimento alla capacità di prestare attenzione a ciò che l’altro dice o afferma, dimostrando un elevato indice attentivo e, anche, partecipazione comunicativa. E’ ovvio che è difforme dall’ascolto comunemente inteso, in cui siamo dei semplici fruitori.
Quello che intendo, nel momento in cui uso l’espressione Ascolto Attivo è qualcosa di diverso da quanto affermato sopra.
L’Ascolto Attivo consiste nella capacità di Ascoltare Ascoltandosi, ascoltare l’altro, senza perdere il contatto con l’ascolto interiore delle proprie percezioni, delle proprie emozioni, e di tutte quelle reazioni che le parole/affermazioni dell’altro generano dentro di noi.
E come possiamo percepire tutto questo?
Ascoltando la comunicazione non verbale del nostro corpo, prestando attenzione alla sensazione di chiusura allo stomaco, al nodo in gola, al calore improvviso, al fastidio alla pancia, a tutti quei sintomi fisici che sono l’espressione del disequilibrio, che stiamo vivendo all’interno di quella relazione o di quel cotesto sociale.
Ascoltandoci avremo la capacità di capire se chi ci sta di fronte ci corrisponde, se è onesto e affidabile, oppure è bene mantenere un distacco, se quel contesto può andare bene per noi.
L’Ascolto Attivo di noi stessi e dell’altro non solo ci può preservare da situazioni relazionali degenerative, ma ci consente di recuperare la visione Olistica dell’individuo, fatto non solo di un Corpo e di una Mente ma, anche, di Emozioni e Spirito/Anima.
E’ quando perdiamo questo contatto che compare il sintomo fisico.
Gregory Bateson, nel saggio “Olismo: l’enigma della sfinge”, contenuto nel libro “Dove gli angeli esitano”, scritto negli anni ‘40, rifacendosi agli studi di Stll, fondatore della medicina osteopatica, ha affermato che la patologia è “una sorta di disarmonia o discrepanza, un blocco o uno scompenso nell’ecologia interna del corpo. Perfino in patologie di origine fisica, come le fratture ossee si comincia a portare l’attenzione anche sull’idea dell’osso spezzato e sulla risposta a questa idea. […] Il passo successivo è prevedere che entro i prossimi vent’anni questo modo di pensare apparterrà anche all'”uomo della strada” e costituirà la base necessaria di un tipo di credibilità diffuso in tutta la società e comune allo scienziato e al profano, al medico e al paziente”
Io credo che queste sue parole stiano diventando sempre più una verità, perché negli anni è cambiato il nostro modo di essere e di rapportarci nei confronti di noi stessi, nella relazione con il nostro corpo (l’attenzione che gli rivolgiamo non è solo per fini estetici o nutrizionali, come nel passato), nei confronti della malattia, nel rapporto e nella qualità del cibo (basti pensare all’esplosione degli alimenti biologici), e alla necessità di vivere in ambienti più sani, meno inquinati e più a contatto con la natura, nell’intento, forse, di recuperare la nostra essenza, le nostre origini.
E’ sempre più forte in noi il bisogno di sapere, di conoscere e di essere consapevoli di ciò che altri ci propongono di fare per raggiungere lo stato di benessere, non vogliamo più essere dei fruitori inconsci, sentiamo forte la necessità di chiarezza, per essere partecipi del nostro processo di crescita ma forse, anche, perché abbiamo bisogno di placare le nostre ansie, conseguenza di un contesto socio-culturale centrato sulla precarietà e sull’incertezza.
Odo Marquard, filosofo tedesco aveva coniato l’espressione “tachiestranietà dal mondo” per definire l’incapacità dell’uomo di stare al passo con l’evoluzione tecnologica, tanto che ha finito per sentirsi un estraneo all’interno di quella società che lui stesso aveva creato; oggi io mi sento di affermare che questa condizione di estraneità, molti di noi, la stanno vivendo soprattutto ed eminentemente nel rapporto con se stessi.
E’ per uscire da questa condizione di “inconsapevolezza” che dovremmo cercare di divenire gli artefici della nostra crescita e se percepiamo dentro di noi questo desiderio, possiamo pensare che non abbiamo bisogno degli altri, almeno in una prima fase, perché per conoscerci è sufficiente ASCOLTARCI, ASCOLTARE LE PAROLE NUOVE DEL NOSTRO CORPO, scoprendo quelle parti interiori che comunicano attraverso la sintomatologia.
E’ attraverso questo ascolto che potremo capire che dietro ad ogni sintomo c’è una disarmonia, sorta come conseguenza di una situazione relazionale che non abbiamo vissuto emotivamente in equilibrio.
Dovremmo imparare ad andare oltre la semplice comunicazione verbale, ricordandoci che i livelli di comunicazione sono quattro, mentale, verbale, emotivo ed energetico e che gli ultimi due, che sono alla base della CNV (comunicazione non verbale), sono i più importanti, in quanto ci consentono di percepire il malessere fisico non come un fastidio, bensì come espressione della conversazione diadica Io/Corpo.
Non è difficile fare ciò, basta soffermarci un attimo e provare a fare delle inferenze tra il sintomo fisico e quello che ci è accaduto il giorno prima o nei due giorni precedenti.
Non sono necessarie situazioni eclatanti, basta poco, a volte, per ferirci!
Se solo impariamo a fare questo semplice gesto, che diventa espressione dell’amore che ognuno di noi deve e può avere per se stesso, vuol dire che ci stiamo incamminando verso un processo di consapevolezza, che avrà termine solo con la nostra esistenza, e che diverrà la polizza personale per un miglioramento della qualità della nostra vita.